Triplicate. Saranno così le bollette del gas e della luce per le famiglie italiane il prossimo inverno, rispetto all’ultimo inverno prima della pandemia, il 2019-2020. La stima è del think tank sul clima Ecco. Il salasso sarà più duro al Nord, per la banale ragione che lì fa più freddo. Ma tutta l’Italia il prossimo inverno sentirà il peso del caro-metano e del caro-energia.
Ecco un focus dedicato alla situazione di Puglia e Basilicata: dai frantoi lucani, passando per i ceramisti di Grottaglie, fino alle aziende del Brindisino, e ancora le imprese di Foggia, Barletta, Lecce e Bari.
TARANTO - Grottaglie, Città delle Ceramiche. Un’arte ancestrale quella figulina, che identifica da secoli, la città tarantina. Un’attività produttiva duramente attaccata dalla concorrenza estera, che riesce a immettere sui mercati prodotti “similari” a quelli artigianali, proponendoli a prezzi più modici. Alle loro spalle non ci sono ore di sapiente lavoro, ma sempre più spesso l’acquirente preferisce il risparmio alla qualità ed all’unicità degli oggetti, che siano d’uso comune o d’arredo. Un’attività che, come tante, adesso si trova a fare i conti con esagerati rincari energetici. Un tempo le ceramiche venivano cotte in forni a legna, “li camennere” in vernacolo grottagliese. Oggi i forni sono alimentati a gas o elettricamente. Abbiamo ascoltato un maestro ceramista, Cosimo Vestita, uno dei pochi tornianti “sopravvissuti” a quella che pare essere un’estinzione in atto.
«I rincari energetici – dice Vestita – che hanno conquistato gli onori delle cronache negli ultimi mesi, sono in realtà la ciliegina sulla torta, di quanto avviene ormai da anni. È innegabile che il caro prezzi si è registrato anche di recente, andando ad incancrenire una situazione già di per sé difficile. Nel corso di venti anni i costi si sono quintuplicati. Effettuare una cottura dei manufatti richiede che i forni siano portati ad elevate temperature per svariate ore. Prima della scomparsa della lira un’accensione comportava una spesa degli equivalenti sessanta euro. Oggi siamo vicini ai 300». Questo determina una mutazione nella politica gestionale di una bottega ceramica. «Purtroppo non possono essere accettati ordini di pochi pezzi. Bisogna accumularne più, in modo da poter ottimizzare gli spazi all’interno del forno e contenere i costi per il cliente. Accade però che in questo lasso temporale il cliente disdetti l’ordine, se non già in principio si sia detto impossibilitato ad attendere. Chiaramente l’impatto sulle vendite è una conseguenza. Nonostante i prezzi di vendita, si siano tenuti invariati, il caro vita, porta, e non è da biasimare, ad acquistare tali oggetti nei grandi centri di distribuzione. Il rischio concreto – avverte l’artista grottagliese – è che la manifattura tradizionale si perda. Se realizzare una lampada, o comunque un oggetto costoso, permette un dignitoso margine di guadagno, il classico piatto col gallo grottagliese, attualmente non lo consente. E se il trend dei costi resterà questo, da qui a poco la produzione sarà solo per qualche nostalgico appassionato».
POTENZA - La prossima campagna olearia rischia il crac. I frantoi sono imprese fortemente energivore, quindi, investite direttamente dall’attuale crisi energetica. I rincari del costo del kilowattora, del gas metano, dei pezzi di ricambio e di quant’altro occorre per gestire e far andare avanti un frantoio sono diventati insostenibili; i costi di produzione sono aumentati troppo e probabilmente cresceranno ancora. Perciò i «frantoiani» sono obbligati ad aumentare le tariffe molitorie di almeno il 40-50% e, di conseguenza, a ritoccare anche il prezzo dell’olio extravergine di oliva prodotto, portandolo, imbottigliato, a 10-11 euro al litro. Un gruppo di operatori del settore, fra cui Paolo Colonna, presidente dell’Oprol-Organizzazione dei produttori olivicoli lucani (che associa 2.800 olivicoltori e 18 frantoi di tutte le aree olivicole lucane) ha riunito a Matera quasi tutti i «frantoiani» della Basilicata, alla presenza del presidente nazionale dell’Aifo-Associazione italiana frantoiani oleari, Elia Pellegrino, per fare il punto della situazione. Al centro della discussione l'aumento quasi quadruplicato del costo dell'energia elettrica, l'incremento del gas metano e il rincaro di attrezzature e ricambi. «Fattori che, insieme ad altre voci di costo, andranno a condizionare la sostenibilità dell'attività del frantoiano nella prossima campagna olearia - hanno sottolineato i «frantoiani» lucani -. Situazione che vede come unica soluzione l'inevitabile aumento della tariffa molitoria con un altrettanto aumento dell'olio extravergine d'oliva visto gli aumenti dei costi di trasformazione per ottenerlo». Altro dato emerso nel corso della riunione è stato quello dell'aumento della materia prima, le olive, dovuto all'incidenza degli incrementi che il settore agricolo sta subendo, dai concimi al gasolio agricolo. Tutto ciò rischia di rendere insostenibile finanziariamente ed economicamente le attività di produzione e di trasformazione per le aziende della filiera olivicola-olearia.
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La bolletta di agosto è stata di 5,2 milioni di euro, con un incremento nell'arco di solo un paio di mesi del 100%. Da lunedì 3 ottobre partirà la cassa integrazione per i circa 300 dipendenti (tra diretti ed indotto che fa capo alla Tde) della Jindal Films di Brindisi. A mettere in ginocchio il colosso indiano della chimica è la paurosa impennata dei costi dell'energia. Era aprile quando la Gazzetta aveva parlato del caso Jindal. La bolletta era passata dalle 600 mila euro al mese del 2021 ai 2 milioni e 400 mila euro al mese per spese di luce e gas. Oggi di quanto sono lievitati i costi dopo tre mesi? «La bolletta di agosto, che somma gas e corrente elettrica, è di 5 milioni e 250 mila euro - specifica è il dottor Mauro Calisi HR di Jindal Films Brindisi -, negli ultimi tre mesi la la situazione e diventata insostenibile. Il prodotto ci costa 10 volte rispetto ai mesi scorsi e nel frattempo c'è stato un calo degli ordinativi del 50%». E avete aumentato anche voi il costo del prodotto? «Certo, non potevamo fare altrimenti. In questa condizione l'azienda non produce utile. E i costi insostenibili hanno portato l'azienda alla cassa integrazione come scelta obbligata. Ora marciamo al 50% della produzione. Ma ora inizia il periodo più caldo perché i costi vanno verso l'aumento e l'escalation della guerra non lascia sperare in situazioni migliori a breve». Avete avuto aiuti dal governo? «C'è un contributo da parte del governo, ma non basta. Il “Dl aiuti” permettere di abbattere i costi attraverso il credito d'imposta, ma noi ad agosto non abbiamo tasse del volume da 2,4 milioni di euro (quello che servirebbe) per ridurre l'impatto delle bollette». Di che cosa ha bisogno subito l'azienda? Provvedimenti immediati e provvedimenti di medio e lungo periodo. «Occorre una politica energetica e industriale che ci renda autonomi e indipendenti dalle forniture di energia di altri paesi o fonti fossili. Energie alternative come eolico, idrogeno, solare o da rigassificatori a gpl che hanno costi più bassi. Poi va messo un tetto al costo dell'energia. L'energia alternativa immessa in rete deve essere acquistabile a prezzi congrui. Bisogna usare quella energia che non dipende dalle speculazioni del conflitto. Lo Stato deve continuare a dare sostegno con aiuti tali da poter compensare, se non col credito d'imposta, anche con altri strumenti che ci portino subito in casa il risparmio. Bisogna essere autonomi per supportare l'azienda italiana». Vi stavate attrezzando per abbattere i costi? «Stiamo istallando un parco fotovoltaico da 3 megawatt sui tetti dei capannoni per abbattere i costi. E seguiamo le opportunità che potrà offrire il territorio come le ipotesi di hub dell'idrogeno o di un rigassificatore». State portando a termine il secondo di due importanti investimenti finanziati con i contratti di programma ci sarà qualche battuta d'arresto? «Procedono, ma anche su questi bisognerà fare una riflessione perché avremo bisogno di maggiore energia ed è un problema. Ma noi vorremo continuare ad onorare l'investimento per creare un prodotto che è tra i primi al mondo. E una volta lanciato all'azienda non potrà che creare importanti vantaggi commerciali».
Barletta - «Non si può più parlare di situazione grave o allarmante, è peggio di così, perché è precipitata e da parte delle istituzioni non arrivano azioni, non si sa come agire. Eppure la Germania ha stanziato 200 miliardi di euro ma l’Europa non trova una soluzione che sia per tutti gli stati Ue e l’aspetto più raccapricciante è che non si tassano gli extraprofitti alle società energetiche, nonostante la presidente della Commissione Europea Von Der Leyen lo abbia proposto». A parlare è un ristoratore di Barletta, Francesco Petruzzelli, titolare di tre attività nel borgo antico della città della Disfida con 56 dipendenti. Lo stesso che il 21 settembre scorso ha protestato davanti alla sede Eni di Roma e che, al pagamento delle bollette ha preferito il mantenimento dei posti di lavoro. «Tempo qualche giorno – annuncia Petruzzelli – e molte attività in città e nel territorio chiuderanno i battenti». In molti si rivolgono a lui per capire cosa fare ma per il ristoratore, che è anche presidente di Confesercenti Bat, la soluzione è una sola: «creare una rete nazionale, fare un fronte unico, ma mentre i singoli esercenti mi contattano perché quando si trovano davanti a bollette aumentate di sette – otto volte sono disperati, le altre associazioni di categoria non hanno colto l’importanza di unirsi». «Andare avanti non è più possibile e quando le attività cominceranno a chiudere, cosa che già sta accadendo visto che neppure aumentando i prezzi di quello che offriamo è sufficiente, il problema – spiega - sarà un altro, quello della tensione sociale. La tenuta sociale è l’aspetto più catastrofico della questione e guai a toccare il reddito di cittadinanza, toglierlo sarebbe una follia, ha sostenuto le famiglie in difficoltà e chi ne ha approfittato è una piccola percentuale. Anche le banche – dice Petruzzelli – hanno tirato i remi in barca e comunque chiedere prestiti per pagare le bollette non è una soluzione, anzi». «Oggi – aggiunge – ancora una volta, sui social invito imprese, commercianti e famiglie a contattare le amministrazioni comunali, le associazioni di categoria, per costruire una rete con l’intento di coinvolgere le prefetture di tutta Italia». Lui in Prefettura c’è stato il 5 settembre, a consegnare un documento per chiedere, fra l’altro, blocco delle bollette, tassazione degli extra profitti delle compagnie energetiche, un tetto alle tariffe europee e l’istituzione di un organo di controllo. «È stato mandato alla Presidenza del consiglio dei ministri come avevo chiesto ma bisogna essere in tanti», dice. Oggi a Bari ci sarà una manifestazione di protesta organizzata dai sindacati. «Io ci sarò, come sempre, e invito tutti a scendere in piazza prima che sia troppo tardi».
FOGGIA - Il caro-bollette mette in ginocchio il settore della ristorazione e non solo. Uno scenario da brivido che si prospetta per tutto il settore terziario, già colpito dell’effetto pandemia. Ristoranti, bar, parrucchieri, panetterie, esercizi di ogni tipo rischiano di trovarsi in una situazione drammatica. «Viviamo nella paura, non sappiamo cosa ci aspetta e cosa possiamo fare per arginare questo mostro che ci divora – raccontano Doriana e Gianluca, titolari del bar CaffeHour, ubicato su Corso Giannone-. Abbiamo quest’attività da oltre 10 anni, realizzata con sacrifici e passione, abbiamo affrontato il periodo della pandemia con non poche difficoltà, ed ora si ripiomba in una situazione ancora più precaria. Fortunatamente siamo stati previdenti, abbiamo una tariffa luce bloccata sino a dicembre, ma dopo cosa succederà? Quali accorgimenti stiamo adottando per ridurre il consumo di energia elettrica? Abbiamo spento uno dei banconi frigo, ma non è una soluzione». Rabbia, disperazione, ma anche voglia di inventarsi qualcosa per non gettare la spugna, come Alessandro D’Agnone, titolare del bar-ristorante «Momento» nell’isola pedonale e presidente dei giovani imprenditori della Confcommercio di Foggia: «Ho aperto questa attività da solo 4 anni ed ho già combattuto la pandemia ed ora ci ritroviamo con il caro-bollette. Posso dire che ho pagato quasi 11mila euro di energia elettrica per il periodo compreso tra giugno e settembre 2022, qualcosa di assurdo; ora si annunciano altri aumenti. Come fronteggiare i rincari? Qualcosa ci inventeremo, dovremmo inesorabilmente ritoccare i nostri prezzi di listino, ma di poco, altrimenti rischiamo di perdere i nostri clienti, oppure far pagare qualcosa in più per chi consuma al tavolino, scelte che sinceramente ingoiamo a fatica». Anche il settore abbigliamento mostra forte preoccupazione per il caro-bollette, come affermano Gianluca e Patrizia titolari del negozio di abbigliamento per bambini Emporio 41: «Cercheremo di adottare degli accorgimenti, pensiamo di modificare l’impianto elettrico, utilizzando lampade a led. Ci inventeremo qualcosa, ma vogliamo continuare a lavorare ed avere sempre la nostra affezionata clientela». Amareggiato anche il titolare del negozio di abbigliamento da uomo Marino Tagarelli: «Non possiamo spegnere le vetrine. Licenziare i dipendenti? Mai, non è la mia filosofia di imprenditore. Si rinuncia a qualcosa di personale, anche più futile, come il comprare un’auto nuova o partire per le vacanze. Mi auguro che il nuovo governo si faccia carico dei nostri problemi, ne abbiamo già passate tante, vorremmo uscire da questo tunnel di incertezze, tagli e rincari e vedere un po’ di luce».
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